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Dialoghi di Pistoia | Lezioni e conferenze
Author: A cura del festival di antropologia del contemporaneo
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Un nuovo modo nuovo di fare approfondimento culturale, con taglio antropologico, e con nuovi sguardi sulle società umane: 200 lezioni, dialoghi e conferenze di studiosi e esperti con letture inedite del mondo che ci circonda sui temi: identità, corpo, dono, viaggio, incontro, condivisione, abitare, gioco, cultura, creatività, convivenza, linguaggi.
"I Dialoghi stanno compiendo un percorso per meglio comprendere la realtà che ci circonda, spinti dall’interesse per gli altri e per le altre culture, nella consapevolezza di essere su una imbarcazione comune, in un viaggio antropologico attorno all’umanità."
Giulia Cogoli, ideatrice e direttrice dei Dialoghi
Web: www.dialoghidipistoia.it
Promosso dalla Fondazione Caript e dal Comune di Pistoia
"I Dialoghi stanno compiendo un percorso per meglio comprendere la realtà che ci circonda, spinti dall’interesse per gli altri e per le altre culture, nella consapevolezza di essere su una imbarcazione comune, in un viaggio antropologico attorno all’umanità."
Giulia Cogoli, ideatrice e direttrice dei Dialoghi
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Quando ci si riferisce a qualcosa di “alto”, che sia moda, design oppure cucina, immediatamente gran parte di noi si sente esclusa, pensa ad abiti, oggetti e ristoranti riservati a pochi eletti, a stili di vita cristallizzati con rituali e costi che li rendono inaccessibili. Invece, Cristina Bowerman, chef (una stella Michelin) ha lavorato sulla trasformazione dell’alta cucina in un’esperienza accessibile, che non crea isolamento (i tavoli distanziati, il servizio di formalità raggelante) bensì apertura a ingredienti e ricette che non hanno frontiere, con prezzi accessibili e con sconti per i clienti più giovani, con percorsi di degustazione libertari (si possono usare le mani e non solo le posate), e con l’apporto di un servizio empatico, per nulla sussiegoso. La sua declinazione dell’alta cucina è anzitutto un’altra cucina, priva di tabù.
«Il corpo c’è, e c’è, e c’è», ripete con implacabile semplicità la poetessa Wisława Szymborska. E «prova dolore, deve mangiare e respirare e dormire, ha la pelle sottile, e subito sotto – sangue». Quel «deve mangiare» sarà la nostra porta d’accesso al mondo dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, un viaggio diagnostico e inevitabilmente culturale in quadri clinici denominati anoressia, bulimia, binge eating. Poiché la diagnosi prelude al trattamento, parleremo anche delle diverse strategie terapeutiche, riflettendo sul ruolo giocato dalla personalità nel manifestarsi del disagio alimentare. Ancora una volta scopriremo, come direbbe Freud, che «l’Io è innanzitutto un’entità corporea».
Un incontro su anoressia, bulimia e altri disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, tema di sempre crescente attualità e urgenza, con lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi.
In collaborazione con Fondazione Hapax - Synapsis
Perché mangiare solo o prevalentemente vegetali? È una scelta solo contemporanea o questa scelta alimentare ha alle spalle una lunga storia? La specie umana è biologicamente onnivora. E qui sta il paradosso: potendo mangiare di tutto, le comunità e gli individui non mangiano tutto, ma scelgono cosa mangiare. Ed ecco scendere in campo la cultura, che definisce queste scelte, governando i modi di mangiare come e più degli istinti naturali.
Ma la cultura cambia nello spazio e nel tempo, seguendo princìpi economici (cosa è più conveniente nel rapporto fra costi e benefici?), ma anche princìpi simbolici e ideologici, etici, filosofici, religiosi, e poi salutistici. Senza dimenticare le ragioni del gusto giacché piacere e necessità viaggiano sempre assieme quando si tratta di mangiare. Lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari ci parlerà della storia del vegetarianesimo e delle motivazioni che l’hanno determinata, una riflessione più che mai attuale.
Siamo ciò che di solito mangiamo e anche ciò che desideriamo mangiare. Il cibo che conosciamo, quello che sogniamo, quello che mangiamo assieme agli altri, quello di cui abbiamo memoria e nostalgia. L’esperienza del cibo forma la mentalità, la percezione del mondo, la memoria umana. Se, ad esempio, penso alla mia “autobiografia alimentare”, la mia esperienza del “mangiare” descrive un arco che va dal cibo locale della mia infanzia ai consumi alimentari del periodo del boom economico e dei decenni successivi, fino ad arrivare a quelli del tempo presente. Il cibo che abbiamo conosciuto e la relativa memoria consentono andate, ritorni, restanze, recuperi di persone, luoghi, culture, pratiche alimentari del passato. Echeggiando il celeberrimo dilemma di Bruce Chatwin, Cosa mangio qui? è una domanda che Homo Sapiens si pone da sempre in tutti i contesti storici e culturali in cui è vissuto, è quella che si sono posti tutti i migranti, i viaggiatori e che ci poniamo anche noi, adesso, in un tempo in cui sia i luoghi che il cibo tendono a diventare “eccessivi” o “inesistenti”. Se da un lato abbiamo mondi obesi e dediti allo spreco sistematico, dall’altro ci sono i mondi della penuria, della fame e della sete. In un futuro prossimo potremmo avere mescolanze alimentari e cibi di ogni genere e “non cibi”, puro sostentamento con pillole e pastiglie che non somigliano ad alcun alimento del passato. Scenari apocalittici, con Sapiens per cui tutto è “buono da mangiare” o, viceversa, con una nuova specie che non ha più bisogno di nutrirsi, sono nel nostro confuso orizzonte.
Amiamo gli animali? Certo, mai sentito qualcuno dire che li odia, però qualcuno lo salviamo dalla nostra fame, altri invece no. Perché? Ci indigniamo per la caccia e per gli allevamenti intensivi di mammiferi e di pollame, ma molto meno per la pesca e gli allevamenti ittici. Perché? E i vegetali non soffrono, quando vengono mangiati? Sono molti i fattori che ci indicano che dobbiamo cambiare il nostro stile alimentare, ma non è facile, le abitudini sono dure a morire. Il cibo non è solo un carburante per il nostro corpo, ma anche un elemento che ci connette al mondo animale e vegetale. Di questo discutono lo scrittore Antonio Manzini e l’antropologo Marco Aime, del fatto che siamo una specie onnivora, ma che possiamo orientare i nostri gusti sulla base di principi etici e di conseguenza influenzare alcune scelte sul piano ambientale, economico e politico. Tentativi di consapevolezza alimentare.
I ristoranti esistono da più di due secoli e mezzo, ma – contrariamente a ciò che racconta una famosa leggenda – sono stati inventati ben prima della Rivoluzione Francese, e per un motivo molto semplice: perché servivano. La borghesia europea aveva bisogno di un nuovo tipo di luogo: aperto a tutti, o quasi, non sgradevole, non necessariamente costoso, ma retto da alcune semplici regole. Un luogo dove incontrarsi con persone sconosciute, per capire se era il caso approfondire la conoscenza. I ristoranti, i piatti, i menu, le prenotazioni e le recensioni erano in origine un elegantissimo pretesto per decidere, durante la cena, se valeva la pena di rivedere la persona seduta davanti a noi: per fare affari, per inventare cose nuove, o per provare ad amarsi. Tommaso Melilli, chef e scrittore ci accompagna in una sorta di analisi antropologica sul perché andiamo al ristorante, una delle attività che più amata e praticata, ma perchè lo facciamo?
Mangiare bene è uno dei principali segreti per vivere più a lungo e felici. Purtroppo numerose ricerche epidemiologiche hanno evidenziato che l’industrializzazione della filiera produttiva del cibo ha avuto un ruolo determinante nella genesi delle malattie croniche che caratterizzano il mondo contemporaneo. Molto spesso ci ammaliamo perché mangiamo troppo e male: i nostri piatti si riempiono di cibi pronti, bevande zuccherate, alimenti processati ricchi di conservanti, dolcificanti artificiali ed emulsionanti. La raccomandazione principale per una sana alimentazione è quella di scegliere ingredienti semplici e naturali, prestando sempre la massima attenzione alla varietà e alla biodiversità dei cibi. Franco Berrino, decano degli studi sulla prevenzione e sulla corretta alimentazione, traccia le linee guida fondamentali per alimentarsi correttamente, perdere peso e vivere bene, ammalandosi di meno.
La gestione del cibo è uno degli elementi centrali del funzionamento di una famiglia. A partire dalle scelte di allattamento del neonato che la madre fa, fino alla preparazione e cura del desco famigliare, ai figli si veicola non solo il nutrimento, ma anche una educazione all’altro. Attraverso esempi di casi veri, la psicologa e psicoanalista Laura Pigozzi analizzerà il dibattito sociale riguardante il tema della famiglia, in cui talvolta l’eccesso di cibo, di amore, di controllo e di dipendenza rischia di interrompere un vero scambio con i figli. Il cibo nutre, il cibo avvelena: e ciò non dipende da una sua qualità intrinseca, ma anche dai rituali e dalle parole che lo accompagnano. Il cibo non è solo nutrimento, ma è un discorso che facciamo all’altro: mangiare o non mangiare per un bambino significa infatti comunicare qualcosa a chi lo cura. Il cibo è un esperanto relazionale. Educhiamo, nutriamo, condividiamo il cibo in maniera consapevole.
In collaborazione con Fondazione Hapax - Synapsis
Il food porn, ovvero la proliferazione di discorsi e immagini intorno al cibo, è l’ossessione per la cucina e per l’estetica degli alimenti. Si è diffuso in una società dove, paradossalmente, la maggior parte delle persone è costantemente a dieta. Questo fenomeno è evidente nei palinsesti televisivi che da anni propongono una ridondanza di trasmissioni di cucina, ricette e gare culinarie ma, anche, svariati format che si occupano della forma fisica. Nel frattempo gli chef televisivi sono diventati delle vere celebrità chiamate come testimonial nei più diversi contesti, i politici realizzano selfie o dirette social con il cibo (gastro-post) ed è stato istituito il Carbonara-day. L’immersione nella “gastro-pornografia” ha prodotto un linguaggio specifico che è spesso utilizzato per parlare di sé, dei propri posizionamenti identitari e politici o anche solo per subliminare il desiderio di consumo.
Le esplorazioni spaziali sono sempre più frequenti e di lunga durata, e per questo richiedono un diverso approccio nell’approvvigionamento delle risorse vitali e del cibo per gli astronauti. La possibilità di realizzare missioni spaziali di lungo periodo, la lunga permanenza dell’uomo a bordo di piattaforme spaziali orbitanti o in colonie spaziali su Luna o su Marte è, infatti, legata alla possibilità di creare un ecosistema artificiale (un sistema di controllo ambientale biorigenerativo di supporto alla vita) in cui le piante svolgeranno il ruolo biologico centrale di rigenerare l’aria grazie alla fotosintesi, purificare l’acqua attraverso la traspirazione e produrre cibo riutilizzando parzialmente gli scarti organici dell’equipaggio, anche su suoli lunari o marziani. La ricerca di possibili soluzioni per il supporto alla vita dell’uomo nell’esplorazione spaziale produce conoscenze e tecnologie che possono essere utilizzate per la coltivazione delle piante in ambienti estremi sulla Terra quali i deserti, i Poli o le moderne megalopoli e per la messa a punto di soluzioni più sostenibili per l’agricoltura terrestre.
Una volta si diceva: siamo quel che mangiamo. Oggi siamo forse piuttosto: siamo quel che non mangiamo. Vegetariani, fruttariani, vegani, no carb, respiriani… Viviamo prevalentemente nelle città, ma ci dividiamo in tante tribù alimentari, ciascuna con le proprie passioni, le proprie ossessioni e preclusioni. Con i suoi totem e tabu. Credenze e astinenze. Precetti e fioretti. Così l’alimentazione è diventata una forma di ascetismo laico, una religione del corpo e non più dell’anima. Trasformando l’etica in dietetica e mettendo l’Io al posto di Dio. Ecco perché siamo sempre a dieta. Ce ne parla l’antropologo culturale Marino Niola, attento indagatore della contemporaneità, docente di Miti e riti della gastronomia contemporanea.
Perché si spreca tanto cibo? Nel mondo un terzo di ciò che si produce non arriva alle nostre tavole. Solo in Italia lo spreco alimentare domestico vale oltre sette miliardi di euro, senza contare il costo economico e ambientale per smaltire i rifiuti e per produrre gli alimenti con risorse limitate (terra, acqua, energia). Il problema, fra gli altri, è che abbiamo perso il valore del cibo, che non è solo economico. Non sappiamo più cos’è, lo diamo per scontato e lo vogliamo scontato. Gettare nella spazzatura del cibo ancora buon da mangiare è un gesto inconsapevole.
Andrea Segrè, professore di economia circolare, fra i massimi studiosi dei vari aspetti dello spreco alimentare, illustrerà anche nelle buone pratiche, uno dei temi più attuali e urgenti, partendo dalla Campagna Spreco Zero (un’applicazione per l’educazione alimentare nelle scuole: lo Sprecometro). La sfida per dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 (Agenda Onu per lo Sviluppo Sostenibile) parte da qui e da noi.
Un tempo il termine, che deriva da Voinos, Óinos, Vinum, identificava le bevande fermentate e alcoliche, prodotte non solo dall’uva, ma anche da miele, mele, fichi, persino dall’amido di riso e dal lattosio. Poi, in epoca greca, il vino è diventato qualcosa di simile a quello che conosciamo, Platone parla del vino come bevanda “spirituale” e non solo alcolica, utilizzato per “rischiarare la mente” prima che i saggi si occupassero dei problemi della polis. Ma il vino moderno nasce a Bordeaux, nel Settecento, grazie alla emergente classe borghese, soprattutto inglese, che ambisce agli stessi consumi dei nobili. La letteratura moderna del vino, ovvero il racconto del vino, viene dunque dalla Gran Bretagna alla Francia e infine l’Italia, con Veronelli e Soldati fra i primi. Per questo, per il suo valore evocativo e simbolico, il vino non è solo alcol, ma è un’espressione di pratiche colturali e culturali, contribuisce ai paesaggi, diventa nel tempo una risorsa anche economica di primaria importanza; i suoi produttori sono veri custodi del territorio. Daniele Cernilli, uno dei maggiori critici ed esperti di enologia ci racconta come il vino è cambiato e cosa sarà.
Da sola la Natura non fa vino. Il vino, i vini, sono fatti da uomini e donne per uomini e donne. Alla Natura non serve il vino, serve a noi.
Corrado Augias vince la VII edizione del Premio Internazionale Dialoghi di Pistoia, conferito a una figura del mondo culturale, che con il proprio pensiero e lavoro abbia testimoniato la centralità del dialogo e della cultura per lo sviluppo delle relazioni umane.
Quali parole per l’Italia di oggi e di domani? In un’epoca di veloce transizione, di scomparsa di valori che credevamo intramontabili, di nuove paure e grande incertezza, diventa importante discuterne con Corrado Augias, uno dei protagonisti più attenti e profondi della nostra società e della nostra cultura. Un dialogo che, nello stile caratteristico di Augias, vuole andare controcorrente, rallentare di fronte alla continua accelerazione di immagini e parole. La vita s’impara, recita il titolo del suo ultimo libro, e imparare richiede tempo e studio, una cifra che diventa lo spunto per riflettere su quali prospettive ci si presentano davanti e quali strade percorrere domani, a partire da oggi.
L'incremento del consumo di carne negli ultimi anni ha portato a un aumento vertiginoso dei capi animali a livello globale. Se da una parte l’allevamento intensivo consente di produrre tanta carne in uno spazio ristretto e facilita l’accesso alle proteine animali per fasce crescenti della popolazione mondiale, dall’altra ha enormi costi ambientali, sociali e sanitari.
Nel corso della conferenza Stefano Liberti, ripercorrerà la storia di questi allevamenti, dalla nascita ai giorni nostri, analizzando l’impatto che questo modello di produzione ha avuto e sta avendo sempre di più sulle campagne, sulle città e sullo stesso rapporto uomo-animale. Una realtà che non si può ignorare.
Dall’Eucarestia al banchetto nuziale, passando per la tavolata con gli amici o per la preparazione di piatti dedicati a una speciale festa, il cibo è molto spesso oggetto di condivisione, elemento fondamentale per creare e mantenere viva ogni comunità. Tanto in senso religioso, quanto in senso laico, condividere la mensa è il segno di un legame forte, di fraternità, che assume un valore ancora più alto e simbolico in momenti di scarsità. Fondamentale per la sopravvivenza, il cibo diventa centrale nel fare nascere un legame comunitario: sedersi alla stessa tavola, spartirsi il pane, il companatico e le bevande, sancisce una sorta di patto tra i commensali, come se dicessero: ci riconosciamo l’uno con l’altro Per questo ritroviamo la condivisione del pane e del cibo in culture anche molto diverse e distanti tra loro, perché è un gesto profondamente umano.
La dieta mediterranea è lo stile di vita più studiato al mondo. E non si smentisce mai. Fa bene al corpo e fa bene alla mente. Al punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità la raccomanda per tutte le età, la FAO la considera uno dei regimi più sostenibili al mondo e l’UNESCO l’ha riconosciuta come patrimonio culturale dell’umanità. Ma pochi sanno in cosa consista davvero la dieta mediterranea e ancora meno che è stata scoperta proprio in Italia.
Ce ne parla, raccontandone la storia e gli importanti benefici per la salute, l’antropologa Elisabetta Moro, i cui studi e libri sulla dieta mediterranea hanno fatto riaffiorare le virtù e il valore di questa grande eredità culturale.
Si dice che l’essere umano è onnivoro, ma non è affatto vero. Noi non mangiamo di tutto e tutto quello che potremmo mangiare. Siamo al contrario piuttosto selettivi. Molte culture umane hanno scelto di rendere tabu alcuni cibi: tartarughe, anguille, squali, maiali, bovini, canguri. E tra i cibi proibiti ovviamente c’è anche la carne umana. L’antropologia dell’alimentazione ha indagato queste proibizioni e le ha spiegate alla luce di ragioni materialistiche: il maiale per esempio è un “concorrente” dell’essere umano e richiede molta acqua e molto cibo per crescere, non sempre è conveniente allevarlo. Ci sono però anche ragioni simboliche alle origini delle proibizioni: serpenti e vermi sono cattivi da pensare, oltre che da mangiare. E poi ci sono le ragioni della differenziazione: come le lingue cambiano spesso per opposizione a quelle dei vicini, così accade per il cibo. Insomma: “noi siamo ciò che voi non mangiate”! Adriano Favole ci racconterà i tabu alimentari con un viaggio che tocca diverse località in cui ha fatto ricerca.
Nel 2022 circa 735 milioni di persone hanno sofferto la fame e 2,4 miliardi hanno vissuto in stato di insicurezza alimentare moderata o grave. Queste le cifre elaborate dalla Divisione Statistica della FAO, che però dieci anni prima aveva stimato che circa un terzo del cibo mondiale andava sprecato ogni anno, per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate ed un valore di quasi mille miliardi di dollari buttati via. La fame non è dunque una questione legata alla mancanza di cibo sul pianeta, ma di scelte. Non riguarda solo popolazioni lontane, ma è presente anche nei paesi ricchi fra le fasce più deboli della popolazione. Un grande Padre della Chiesa Gregorio Magno scriveva: “Insieme al pane date al povero la parola”. Perché la fame è questione non solo di cibo ma di relazioni.
L’emergenza climatica impone un ripensamento rispetto a cosa metteremo nel piatto nel prossimo futuro, con l’introduzione di nuovi alimenti a basso impatto ambientale, il cui consumo contribuisca a innescare un circolo virtuoso nella produzione alimentare.
Tuttavia, molti di questi cibi, detti novel food, sono ospiti inediti della tavola occidentale. Insetti, cactus, meduse e alghe non sono considerati commestibili nonostante ci siano milioni di persone al mondo che li consumano quotidianamente. Guardando ai lunghi processi di inclusione di nuovi alimenti (patate, mais, pomodoro ecc.) avvenuti nel passato e alle dinamiche culturali di costruzione dei (dis)gusti, ci interrogheremo sulle resistenze al loro consumo e sulle strategie per una loro integrazione.
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